Il negozio delle maschere dei pensieri e delle emozioni

Il negozio delle maschere dei pensieri e delle emozioni

Il ricordo di quella sera è vivido nel mio animo. Pioveva molto forte. Uscita dal pub, dopo l’ennesima partita di calcio del Mondiale, un calice di vino di troppo, e tutti gli ululati, Eeehh, Oohhhhh, Uuuuuuu, goal! degli astanti tifosi o curiosi presenti, che si confondevano con i festanti, in parte mascherati, del gay pride mi travolsero come il turbine di un uragano in piena attività.
Uscita senza impermeabile e senza ombrello per una via del centro città, mi stavo inzuppando d’acqua, come un pulcino. E cosi, per ripararmi, mi fermai sotto una tettoia. Davanti mi apparve un negozio che non avevo mai notato. Doveva essere nuovo. Da quanto lo avevano aperto? Mi colpì la strana insegna. Su fondo bianco sbiadito, campeggiava una scritta blu fosforescente: “Il negozio delle maschere di esseri umani che bisbigliano pensieri”. Certo il negozio era elegante, tutto illuminato, con le solite belle signorine come commesse, un neon azzurro, e quello che doveva essere il proprietario, un uomo sulla quarantina grasso e pelato, al PC su un banco al fondo del negozio. Dentro il negozio non c’erano oggetti, ma, semplicemente, maschere come sagome di uomini, donne, bambini, di tutti i tipi e razze, con diverse espressioni sul viso. Chi di gioia, chi di sofferenza. Alcuni mi pareva di averli conosciuti personalmente (o forse li avevo visti in televisione o al cinema?). Ma che ci faceva il mio volto in quella vetrina? Che diamine! Che storia era questa? Entrai d’ impeto nel negozio per chiedere spiegazioni.

“Buonasera, posso aiutarla?”, mi chiese la scultorea commessa che mi venne incontro. Fui colta da una inquietudine palpabile. Di colpo temetti che attraverso i miei occhi la commessa leggesse il mio pensiero o, peggio ancora, riuscisse a scrutare gli angoli remoti della mia mente. In quell’attimo ecco che, proprio in fondo alla vetrina dove era esposta la mia maschera, ne apparse un’ altra, che mi rappresentava con un sorriso ebete. Forse perché avevo pensato che tutta questa situazione fosse surreale e risibile? Chiesi dunque di parlare con il direttore: volevo capire cosa stava succedendo. Per un attimo credetti di essere impazzita. Eppure sembrava tutto così reale! Tremante (avevo esagerato con il vino?), continuai a osservare le maschere esposte e mi parve che ognuna di esse bisbigliasse piano piano. Fui presa dal panico ed ecco che, di colpo, un’ altra maschera con il mio volto, dall’espressione terrorizzata, apparve accanto alla precedente. Notai che, man mano che entravano nel negozio clienti, maschere con il loro volto, si aggiungevano alle precedenti, nel delirio più totale. Sotto a ciascuna maschera non comparivano prezzi, ma una scritta campeggiava a caratteri cubitali: “Pensieri ad alta voce”. Immersa nei miei complessi stati d’animo, fui scossa da una voce profonda, roca e vagamente tetra. Il direttore! “Benvenuta Elena, ti stavamo aspettando da tempo. Tu pensi troppo e noi, in magazzino, abbiamo già accumulato ben centomila maschere che ti rappresentano. Devi imparare a spegnere il cervello, di tanto in tanto, o il nostro deposito esploderà!”

Fu allora che compresi di essere giunta nel negozio delle emozioni, dei pensieri reconditi, dei segreti che a nessuno avrei voluto svelare. Mi accorsi che lì si trovavano anche i pensieri che credevo smarriti o dimenticati. Svenni rumorosamente tra le sue braccia muscolose. Mi ritrovai non so quanto tempo dopo sulla strada, la luna piena che splendeva limpida nel cielo e il tram che arrivava. Mi alzai, finalmente, senza più pensare. Il cervello alleggerito. Privo delle sensazioni angoscianti che quotidianamente, da anni, gravavano come macigni sull’anima. Con la sensazione inebriante di vuoto salii sul tram, verso una destinazione ignota, verso l’oblìo. E la certezza di aver intrapreso il percorso verso la guarigione.

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